La poesia non esclude la concretezza di un’attività pratica, anzi posso dire che è un dono raro la capacità di trasferire il quotidiano e non soltanto quello interno e lirico, ma anche quello esteriore e visibile, in parole che abbiano una delicatezza non priva di sfumature amare e pensose. Capisco che l’intento di Fabio Clerici è raccontare, non tanto sé stesso, quanto l’opera di cui è parte, intendendo con questo certamente il volontariato attivo, ma anche in generale quel continuo e silenzioso lavoro di redenzione, che passa per i volontari, ma si estende a tutte le persone che hanno ancora voglia di pensare e di sentire, di dare insomma delle parole a quella pietra che è in fondo il mondo senza umanità: “rivivo la geometria della vita/dove ogni figura s’incastra”. L’umanità delle poesie di Clerici è consapevole di un destino, a volte infelice, ma non è priva di dignità né di una forte e sentita aspirazione alla libertà, che corre qua e là per i versi, quella libertà tanto fuori moda (forse da sempre) “di non essere bello”, per esempio, o di essere un anziano perso in una città di ferragosto, magari in quella Milano dove s’aggirano nei pressi del Castello a cercare un po’ d’ombra, il che ci fa capire che di una libertà così totale, spiazzante, nello stesso tempo concreta ed eterea, si può godere soltanto in sogno. In sogno possono apparirci anche i fantasmi, quelli che sono stati uomini e donne, ed ora sono sospesi in un limbo dove nemmeno la morte li vuole, ma sono pronti a tornare alla vita, se qualcuno mostra di desiderarlo per loro stessi, che non ne hanno la forza. Ma questo sogno si apre altrove anche alla dimensione rasserenante anche se non bucolica della campagna, a quei piccoli paesi sul Trebbia “nel tempo sospesi” ed anche al desiderio di poter essere altri da sé stessi, anche se nascosti da una divisa (il che è ancora una volta libertà…). Ci si può inoltrare nel bosco, tra la neve, probabilmente perdersi e ritrovarsi mille volte, si può tornare al proprio tavolo, e sull’onda dei sentimenti, riscoprire una “disperazione divenuta messaggio”. Ecco, la poesia di Fabio Clerici in “Le parole e la pietra” è in questa capacità di stupirsi delle cose quotidiane, per vedere le quali ci vogliono altri occhi, mi piacciono in essa l’evolversi del messaggio e del discorso verso improvvise aperture ad un altro mondo, un’altra dimensione, un diverso modo di godere delle cose e di descriverle. Si tratta in fondo di trovare un senso differente alla nostra esistenza ed a quella di tutti (una delle liriche della raccolta si apre proprio con queste parole “Trovo senso”). E’ da qui che si riprende il tema del volontariato, il cui significato più intimo (che riunisce la vicinanza al dolore col duro lavoro di ogni giorno) è quello di ridare valore alle cose, alle persone, ai gesti che sembrano non averne più, perché abbiamo dimenticato, perché abbiamo fretta, o forse semplicemente perché non abbiamo più tempo né voglia di leggere poesie come queste. Sbagliamo a non farlo, perché sono poesie che parlano di noi stessi e del mondo in cui siamo immersi, offrendo tra le righe qualche idea buona per cambiarlo.
Carlo Santulli (Progetto Babale)
- Autore dell'articolo:Silvia
- Articolo pubblicato:21 Aprile 2017
- Categoria dell'articolo:Le parole e la pietra - Recensioni