Il grido della terra di Fabio Clerici
“Il grido della terra” (titolo ripreso, non so se consapevolmente, da un nobile film neorealista di Duilio Coletti) è quello del terremoto che sembra esplodere con mille tonalità e accenti diversi all’improvviso, e del quale non possiamo dirci del tutto sicuri di conoscere origine e fine. In questo caso, il che accresce il nostro senso d’angoscia, può accadere anche che tale forza subitanea si manifesti in luoghi, e questo è il caso dell’Emilia narrata da Fabio Clerici (Tracce per la Meta Edizioni, 2013), dove non pensavamo (né noi né molti “addetti ai lavori”) si potessero correre questi rischi. A questo punto per il narratore è difficile non fare sensazionalismo ed è altrettanto, se non di più, difficile, far capire che si racconta per aiutare le persone coinvolte e non per metterle inopinatamente al centro del palco mediatico coi riflettori puntati sul volto sofferente, il che accade senz’altro, per le storie di composta dignità e di dolore privo di enfasi che si trovano in questo libro.
Accade, questo piccolo miracolo dell’empatia e della partecipazione umana, perché dietro c’è l’anima di un poeta come Fabio Clerici. Che sa descrivere quello che vede con passione ed anche con rabbia, quando parla di episodi di sciacallaggio, ad esempio, ma sempre con una gentile attitudine a non caricare troppo i toni e a non sottolineare troppo dettagli che potrebbero non aggiungere molto alla narrazione. Ma che sa anche farsi da parte all’occorrenza, presentando le vere voci degli abitanti di Novi di Modena e Rovereto sulla Secchia, che sono, sia detto incidentalmente ma non senza significato, i luoghi dove l’esperienza di Progetto Babele, pur virtuale, ha avuto origine: lo dico anche per spiegare quanta sintonia possa sentire con l’autore di questo bel libro. Per presentare le vere voci non basta prestar loro un microfono, come forse avrebbe fatto un cronista d’assalto, ma far tralucere la loro personalità, che rende indimenticabili tanti di questi personaggi, come il giovane che timidamente chiede di rivedere la sua casa, come la famiglia che attende la demolizione della propria abitazione danneggiata con una composta reazione, dove c’è spazio, ancora e sempre, per gli altri, per coloro che stanno peggio, per quelli che il Vangelo definisce gli “ultimi”. E tanti altri sguardi che vale la pena di riconoscere nella lettura di queste pagine.
È un libro che dà una dolce speranza, non buonista, ma autentica, specie in un momento in cui questo paese, ma anche il mondo intero in certo senso, hanno necessità di trovare il senso di un “contratto sociale”, non scritto, che prescinda dai nostri interessi personali, nella consapevolezza che se staremo tutti meglio se ognuno di noi senza eccezioni potrà star bene e lenire le proprie cause di sofferenza. Quello che gli agenti di Polizia Locale, partiti da Milano verso le zone terremotate dell’Emilia, hanno ben chiaro, pur con tutte le loro piccole debolezze di uomini. Perché questo non è un libro che parla dell’eroismo di un giorno, bensì ci fa capire come potrebbe essere migliore la vita di ogni giorno se tenessimo conto, senza filtri o ipocrisie, dell’altro nel fluire continuo della nostra esistenza e non solo nei “momenti forti”.
Carlo Santulli per Progetto Babele